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I. I Florio armatori 253
di procuratore della Gran Corte Civile e infine di membro
della Consulta di Sicilia, presso la quale era stato anche re-
latore del progetto di costituzione della Società dei battelli
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a vapore .
2. La svolta: la concessione del servizio postale
Nel 1856 Vincenzo Florio ottenne dal governo borbonico
la concessione del servizio di posta attorno alla Sicilia. Nell’i-
sola non esistevano allora altri armatori di navi a vapore oltre
la I. e V. Florio, perché il naufragio del piroscafo Sicilia e la fi-
ne della società armatrice Sicula-transatlantica del De Pace
(cfr. supra, p. 129) avevano escluso un possibile concorrente.
Né Pietro Riso, Antonio Chiaramonte Bordonaro e Ingham,
proprietari di velieri che solcavano gli oceani, tentarono mai
il salto di qualità passando alla navigazione a vapore, a parte
l’esperienza con la Società dei battelli a vapore siciliani della
quale Ingham era stato azionista con Gabriele Chiaramonte
Bordonaro. Lo stesso Michele Pojero, grosso commerciante
palermitano, quando decise di potenziare la sua attività ar-
matoriale, preferì acquistare a New York un veliero di 474 t
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(1856), piuttosto che un piroscafo .
La concessione del servizio postale a Florio significava in
pratica una sovvenzione annuale di 7.520 ducati (31.960 li-
re del 1861) a favore di una linea di navigazione da lui già
esercitata a sue spese. Per meglio far fronte all’impegno, egli
acquistò in Inghilterra un nuovo piroscafo, l’Etna, di 326 t,
con un abbuono sul dazio doganale di immissione. Il colpo
più grosso fu però quello messo a segno due anni dopo, con
l’aiuto del solito Cassisi e la benevolenza di re Ferdinando
II, che voleva ingraziarsi l’imprenditoria isolana: l’appalto,
nel 1858, del servizio postale settimanale tra Napoli e la Si-
cilia, soffiato alla napoletana Compagnia di navigazione a
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vapore delle Due Sicilie, che lo deteneva dal 1856 . Ciò con-
sentì alla famiglia Florio di entrare, anche grazie alla unifi-
cazione nazionale di qualche anno dopo, nella ristretta éli-
te dei grandi imprenditori italiani e di porsi presto ai verti-
ci dell’high-society internazionale. A parte, infatti, i profitti