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256 Parte seconda. Uomini e imprese
no pur sempre una validissima base di partenza per la spet-
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tacolare ascesa degli anni successivi . Sin d’allora Florio già
pensava a un’unica grande flotta italiana che monopoliz-
zasse i servizi postali, se nell’ottobre 1861 aveva munito il di-
rettore della sua Compagnia, Giuseppe Orlando, di una pro-
cura «per stabilire una gran società di vapori postali per ser-
vizio del Regno d’Italia e prendere un interesse di due mi-
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lioni di lire italiane e non più» . Se allora la grande società
non si costituì non fu certo per sua colpa, anzi egli se ne
rammaricava e alcuni mesi dopo sperava ancora che potes-
se realizzarsi, per evitare che il governo fosse costretto a con-
cedere alcune linee postali a società straniere, come era ac-
caduto per la Ancona-Alessandria d’Egitto, concessa con suo
dispiacere alla Adriatico-Orientale dell’inglese Mark Pal-
mer: «La cosa non succedeva – scriveva, senza tanti peli sul-
la lingua e con atteggiamento risentito, al Direttore gene-
rale delle Poste – se si trovava formata o almeno incammi-
nata la Società Anonima fra li concessionari Italiani. Spero
che il ministro (per non dire di lei) non pensi a dare nuo-
ve linee prima che non sia formata la società. Spero com-
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patirà il mio fresco parlare» . Il contenuto e il tono della
lettera dimostrano come Vincenzo Florio si fosse inserito
con piglio sicuro nella nuova realtà italiana, che gli apriva
prospettive assai più ampie e sicuramente insperate qualche
anno prima sotto i Borboni, i quali perciò invano sperava-
no ancora che egli appoggiasse in Sicilia la loro causa. Due
anni dopo (1864), egli era infatti proiettato in una dimen-
sione nazionale e operava già in collegamento con alcuni
dei più grandi capitalisti italiani del tempo (Carlo Bombri-
ni, Domenico Balduino, Antonio Rossi e Felice Oneto) nel
comitato promotore di una società, cui un disegno di legge
del ministro della Marina mercantile, poi non più approva-
to dal parlamento, intendeva cedere il cantiere navale di S.
Bartolomeo a La Spezia, per la costruzione di navi da guer-
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ra per un importo di 20 milioni di lire in cinque anni . Sul-
la opportunità della costituzione di un’unica compagnia per
i servizi sovvenzionati, egli ritornò ancora, senza successo,
nel 1867, quando espresse alla Commissione parlamentare
d’inchiesta sulla rivolta palermitana dell’anno precedente la