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Evasioni e tentate evasioni dalla fortezza della Colombaia – di Giuseppe Romano
l’agente P., con uno strumento che mi sembrò un nervo, incominciò a
percuotermi. Assisteva alla scena il Sottocapo A. e l’agente S. ed una
guardia del Centrale di cui non ricordo il nome. Nessuno di questi
agenti si mosse per aiutarmi. Dopo fui messo in cella e dopo circa dieci
minuti benne il Sottocapo L. insieme ad altri agenti e mi diede un colpo
di chiave sulla bocca che mi si mise a sanguinare. Debbo qui far
presente che al momento di entrare in cella il Sottocapo L. mi diede
ordini di spogliarmi, il che io feci (…) dichiaro che prima di allora non
sono stato mai toccato. Io ero in un posto di fiducia, addetto in qualità di
fabbro all’Officina ed ero stato sempre ben trattato dal personale.
Nessun Sottocapo e agente è mai venuto in Officina a guardare quello
che io facevo. Io godevo della massima libertà nell’Officina e i muri non
vennero mai ispezionati da sottocapi e agenti. Da circa 6 mesi che sono
in Officina solamente ho visto entrare nell’Officina stessa, il
Capoguardia Testagrossa”.
Poi fu la volta del detenuto Pirrello che dichiarò: “avendo ordinato, il
Direttore che mi riportassero in cella, l’agente C., il Sottocapo L.
l’agente P. mi consussero nel locale delle celle di segregazione. Arrivato
davanti alla cella per la verità io non volevo entrare per timore di
qualche punizione corporale, dato il precedente accaduto ma gli agenti
presenti mi costrinsero a viva forza ad entrare nella cella afferrandomi
con violenza per le gambe e le braccia e facendomi dolore. Dopo di
allora non sono stato più toccato. Prima del fatto ero un lavorante
“rattoppino” ed ero stato comandato dal Capoguardia di aiutare il
Rappa nei suoi lavori. Sono stato sempre ben trattato da tutto il
personale e non mi posso lamentare di alcuno”
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