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detenuto Giliberti affermò in seguito che l’idea gli venne osservando la friabilità dei
conci di tufo che costituivano la parte inferiore della finestra del 3° camerotto. Era
opinione del Direttore invece che il Giliberti nutrisse da tempo il proposito di fuggire
in quanto era certo nutrisse propositi di vendetta nei confronti della moglie
domiciliata in Trapani. Comunque sia, il Giliberti nella giornata del 19 ottobre si
procurò un grosso chiodo da muro che raccattò nel cortile ed indusse, il detenuto Di
Stefano Vincenzo, scopino, a procurargli un ferro. Avuti i due ferri, non appena
terminata l’ispezione delle ore 16.30 si mise all’opera aiutato nel lavoro dall’amico
Giuseppe Ponzo; i detenuti Gabriele e Cortese e probabilmente il Di Stefano,
facevano da palo.
Il lavoro si iniziò con lo sgretolamento della malta che univa i conci e che non
essendo cementizia (le finestre erano state costruite nel mese di luglio), non offriva
molta resistenza. Tolta la malta con i due ferri, facendo leva, non fu difficile
smuovere i conci di tufo. I due si alternarono nella fatica, che ebbe termine alle ore
23.00. Quindi il foro venne praticato in poco più di 6 ore. I detenuti durante questo
tempo non vennero disturbati dal personale. Alle ore 23.00, il Giliberti dopo avere
invitato i compagni di camera a fuggire con lui, si introdusse nel foro e seguito dal
Ponzo scese lungo la striscia di tela ricavata da una fodera di materasso. Poco dopo
uscivano dalla camera attraverso il foro pure i due detenuti Gabriele e Cortese. Tutti,
scesi sulla piattaforma si diressero verso il capannone. Il tempo era pessimo: sotto un
impetuoso vento di tramontana le onde erano fortemente agitate. Tentare di passare il
canale per raggiungere la terraferma era un’impresa difficile, azzardata anche per
provetti nuotatori. Visto ciò i primi due si nascosero nella parte dell’isola più lontana
dal fabbricato mentre il Gabriele e Cortese decidevano di tornare nella propria
camera. Rifecero a ritroso il cammino. Al Gabriele riuscì di raggiungere il proprio
posto ma al Cortese ciò non fu possibile perché arrampicandosi lungo la striscia di
tela, cadde riportando delle ferite che gli impedirono di tentare per la seconda volta
l’impresa; quindi fece il giro del fabbricato e si presentò in portineria. Dato così
l’allarme accorsero oltre al sottocapo in servizio, il sottocapo Vannuccini, il