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Il Maresciallo inizia ad indagare al fine di ricostruire le fasi dell’evasione, le modalità, i complici ed
eventuali negligenze da parte degli agenti di custodia di servizio quella notte. Emergono delle responsabilità
da parte dell’agente Giorgio Caschetto in servizio dalle ore 21.30 alle ore 24.00 orario in cui gli evasi
segarono le inferriate. L o stesso agente, pur ammettendo di aver richiamato più volte l’evaso Galante,
perché l’aveva sorpreso sulla finestra, non si era curato di entrare in cella per un controllo, né di avvisare il
capoposto di quello strano comportamento e quindi i detenuti poterono segare le sbarre quasi indisturbati.
Anche le sentinelle non si accorsero dell’evasione. Dall’interrogatorio dei detenuti presenti nel camerone
cominciarono ad emergere articolari utili alla ricostruzione dei preparativi e della modalità con cui avvenne
l’evasione. E’ il detenuto Nicasio Romano di Salaparuta che, interrogato dal Maresciallo Barone, fa luce
sulle complicità del Galante: “verso le ore 21.00 mi sono accorto che i detenuti Galante Nicolò e Mangione
Giovanni erano sulla finestra però nel’istante non potei capire che cosa dovevano fare. Dopo poco tempo
capii che si trattava di una preparazione di evasione perché sentivo il rumore che segavano l’inferriata,
mentre i detenuti Galatioto e Catanzaro erano messi sul letto in senso inverso, facendo da palo per
segnalare i movimenti dell’agente. Mentre il Galatioto stava sulla finestra assieme al Mangione mi fu
intimato il silenzio da parte del galante e a questa intimazione cercai di mettermi il lenzuolo sulla faccia e
non vedere nulla perché pensavo che in quel momento mi potevano fare del male” Il detenuto Romano,
aggiunse che quando il Brigadiere La Delfa entrò nella stanza i due evasi erano passati dal foro circa dieci
minuti prima. Il detenuto Anselmo Vincenzo di Alcamo aggiunse che le sbarre furono segate dal detenuto
Catanzaro Ignazio - ventunenne contadino di Alcamo, in prigione per furto continuato e con fine pena al
17.12.1948 - e dal Mangione e che il Galatioto fungeva da palo facendo segnalazioni con segni
convenzionali. Chiese pure di “non palesare il suo nome perché aveva famiglia”. Ma è dall’interrogatorio
del Mangione che il Comandante Barone ricostruisce tutte le fasi dell’evasione. Il detenuto Giovanni
Mangione, di Giuseppe, era nato il 16.5.1925 a Campobello di Mazara ed era stato arrestato il 15.11.1945
per duplice tentato omicidio. Il Mangione negò di aver tagliato le sbarre incolpando il Galante e i suoi
complici Galatioto (suo coimputato) e il Catanzaro. All’una e dieci di quella notte il Galante aveva finito di
segare le sbarre ma i detenuti in quel momento si avvidero che il foro era troppo stretto e poteva passarci
solo il Galante che era basso e mingherlino mentre il Catanzaro ed il Galatioto provarono a passare dal foro
ma non vi riuscirono poiché di corporatura più robusta; fu allora che il Galante invitò il detenuto Mangione
Giovanni piccolo e snello come lui a seguirlo. Il Mangione gli disse che non sapeva nuotare ma Galante lo
rassicurò che lo avrebbe aiutato a portarlo sulla terraferma. Ma Galante, forse aveva calcolato che il
Mangione lo avrebbe rallentato troppo nei movimenti, rischiando di essere riacciuffato e vanificando tutti
gli sforzi per arrivare a quel punto e quindi non mantenne la promessa. Infatti, appena i due si calarono con
le lenzuola annodate e furono sotto la finestra il Galante rivolgendosi al Mangione pur sapendo che il
compagno non sapeva nuotare, gli disse: ti aspetto al Lazzaretto! E come un fulmine si tuffò in mare
scomparendo alla vista del Mangione a causa del buio fitto. Nicolò Galante non aveva perso tempo, sapeva
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