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dalla parte dove era chiusa e quindi coperta alla vista, l’inferriata della finestra è segata nell’angolo
inferiore. Il Brigadiere lancia l’allarme in caserma e alle sentinelle. Evasione! Evasione! Le sentinelle sparano
in aria colpi di moschetto. In pochi minuti arrivano il Direttore dell’Istituto Giovan Battista Di Piazza e il
Maresciallo Giovanni Barone, Comandante delle guardie, con alcuni agenti ai quali viene dato l’ordine di
sparpagliarsi sull’isolotto alla ricerca dei fuggitivi (poiché all’appello mancano due detenuti) e presidiare le
passerelle di ponente e levante e la parte dell’isolotto di fronte allo scoglio Palumbo, al fine di evitare che
qualche barca sospetta si avvicinasse all’isola. Ma una pattuglia composta dagli agenti Cavarra e Grassiccia
avvista uno dei due fuggitivi: Giovanni Mangione che probabilmente non ha avuto il coraggio di buttarsi in
mare, in quanto (dichiarerà in seguito) non sapeva nuotare, e viene ricondotto in carcere.

      L’isolotto viene perlustrato in ogni suo anfratto alla ricerca, ora, dell’unico evaso: Nicolò Galante di
Isidoro, nato a Castellammare del Golfo l’8.3.1922. Quando evade ha 25 anni ma una carriera criminale di
tutto rispetto alle spalle, infatti viene arrestato il 15 febbraio del 1946 insieme al suo compagno di cella
Galatioto Giuseppe, ventisettenne, anche lui di Castellammare del Golfo, per una sfilza di reati che vanno
dall’associazione per delinquere al furto aggravato in pregiudizio di Genna Vito, dalla rapina aggravata in
danno di Artese Mario alla tentata rapina in danno di Bongiovanni Pietro, dal danneggiamento seguito da
incendio in pregiudizio di Giacomo Gioia al furto aggravato ai danni delle Ferrovie dello Stato, dall’omessa
denunzia al porto abusivo di armi. Insomma, un tipo molto pericoloso a scanso del suo aspetto minuto,
misura infatti solo un metro e sessantadue centimetri; inoltre mentre è in carcere gli viene notificato anche
un ordine di carcerazione emesso dalla Procura della Repubblica di Napoli per il reato di ricettazione.

    Gli agenti, nonostante il buio fitto escono in mare con le due barche in dotazione al carcere, una dalla
parte di “tramontana” l’altra dalla parte di “scirocco”. Mentre continuano le ricerche dell’evaso, sulla città
si abbatte un violento temporale, tale da impedire la visibilità e fermare le ricerche per alcuni minuti,
importantissimi per l’evaso. E’ già notte inoltrata quando gli agenti del Carcere Centrale, avvisati nel
frattempo dal Comandante Barone, e coordinati dal Maresciallo Prosatore si recano al Lazzaretto e sulla
banchina nei pressi della Villa Nasi per effettuare le ricerche e predisporre posti di blocco, ma, nonostante
la massima sollecitudine degli agenti nel recarsi sul posto, dell’evaso nessuna traccia. Probabilmente, sono
bastati pochi minuti al Galante per attraversare la lingua di mare che separa la Colombaia dal Lazzaretto. Le
ricerche del fuggitivo proseguono inutilmente fino alle 9 del mattino.

     Il Comandante Barone non si da pace. Va ad ispezionare nuovamente la camera n.3 e scrive nel suo
rapporto: “la camera dispone di una sola finestra dal lato “scirocco” e con due inferriate, una di esse più
grossa mentre l’altra è più sottile. Si vedevano in essa due sbarre tagliate dalla parte sinistra, mentre dalla
parte destra vi si notavano delle incavature nel muro per dare modo di tirare le due sbarre tagliate. La
stessa caratteristica presenta la seconda inferriata nella quale si notano 3 lenzuola ben legate che servirono
per la scalata”.
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