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sponda africana aveva determinato un relativo benessere nell’isola, a partire

               dal  VII  secolo  d.C.,  definirà  un  periodo  di  declino  economico  causato

               dall’irrefrenabile espansionismo arabo nordafricano.






                      II.3. L’ager segestanus: Aquae segestanae e Rosignolo




                      Per quando riguarda l’entroterra della Sicilia occidentale, negli ultimi
               anni, le ricerche archeologiche hanno evidenziato la molteplice esistenza di


               abitati tardo-antichi e bizantini la cui nascita e vitalità fu legata al declino
               almeno  a  partire  almeno  dal  III  secolo  d.C.,  di  una  delle  più  importanti

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               civitates antiche della Sicilia antica : Segesta  (Fig.44).

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                         La prima documentazione archeologica relativa al medioevo effettuata nel territorio di Segesta
               risale al XVI secolo, quando lo storico Tommaso Fazello, profondo conoscitore della  Sicilia antica,  nel
               descrivere il territorio, annovera le rovine dell’antica città di Segesta. Nella descrizione della città, elenca
               soltanto  le  strutture  meglio  visibili,  come  una  chiesa  ai  suoi  tempi  dedicata  a  Santa  Maria,  che  ritiene
               essere un tempio pagano " antichissimo ", in seguito adibito a luogo di culto cristiano, mentre non fa nessun
               cenno del castello che nell’epoca in cui scriveva, doveva essere ancora visibile.  A distanza di quasi un
               miglio, l’autore enumera le rovine del castello di Calathamet, che crede di fondazione araba ed in seguito
               passato  ai  Normanni,  mentre  si  limita  soltanto  a  ricordare  l’origine  moresca  del  nome  del  castello  di

               Calatafimi.  I  villaggi  d’epoca  medievale  di  Calatabarbaro/Segesta  e  di  Calathamet,  già  nel  XVI  secolo
               erano  stati  abbandonati.  Soltanto  di  rado  nei  testi  dei  viaggiatori  ed  eruditi  del  XVI  e  XVII  secolo  che
               visitarono il territorio, vengono citati i resti medievali,  in quanto le descrizioni si concentravano su Segesta
               e sul ruolo da essa svolto nell’antichità. Sul finire del XVIII secolo, il primo ad occuparsi delle antichità di
               Calatafimi è il notar Vito Pellegrino. Nel suo trattato, sono descritte le Aquae Segestanae e l’antica città di
               Calatafimi.  Agli inixi del XIX secolo il Parroco Pietro Longo nel descrivere i resti dell’altura di Monte

               Barbaro, fa menzione di una  fortezza circondata da due recinti di mura con in mezzo una torre; tuttavia,
               non si pronuncia sulla datazione della " rocca " . L’autore inoltre descrive delle tegole con bollo “Qu(o)d
               deus v(u)lt”  datate intorno al V-VI d.C. secolo, segno che ancora l’antica città di Segesta in questo arco
               cronologico  era  caduta  in  declino  ma  non  era  stata  abbandonata  del  tutto.    In  seguito,  ci  riferisce  del
               ritrovamento di sepolture attorno alla chiesa quattrocentesca durante gli scavi del 1809 eseguiti dal console
               inglese Roberto Fagan. Il territorio è stato analizzato da Giovanni Fraccia, il quale eseguì diversi scavi nella
               città di Segesta segnalando l’esistenza di mura e pavimenti attribuibili all’età arabo-normanna. Negli anni

               sessanta del XIX secolo il sacerdote Nicolò Bonaiuto, pubblica una serie di saggi che trattano le origini di

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