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                          Le  fonti  epigrafiche   e  letterarie   attestano  l’esistenza  della  città
                   ancora  durante  la  prima  età  imperiale,  quando  i  segestani  si  rivolsero  a

                   Tiberio e poi a Claudio, affinché fossero realizzati i restauri nel tempio di

                   Venere  ad  Erice,  che,  durante  questo  periodo,  doveva  quindi  rientrare  nel

                   territorio segestano. La progressiva scomparsa di Segesta dalle fonti scritte

                                                                                                  271
                   fin dal I secolo d.C. è con ogni probabilità legata al suo lento declino . Le
                   fonti  letterarie  sulla  città,  forniteci  dagli  autori  antichi  a  partire  dal  I  sec.

                   d.C.,  non  ci  danno  informazioni  particolari;  di  certo,  all’  epoca  in  cui

                                                                           272
                   scriveva Strabone l’emporio della città era abitato .
                          Le  notizie  sul  territorio  per  l’epoca  successiva  sono  scarse  e

                   provengono principalmente da due documenti: l’ Itinerarium Antonini, una

                   sorta  di  stradario  dell’impero  redatto  nel  II-III  secolo  d.C.,  e  la  Tabula

                   Peutingeriana, una carta del mondo antico risalente al IV secolo d.C. giunta

                   ai giorni nostri attraverso una copia di epoca medievale.

                          L’  Itinerarium  Antonini,  si  limita  a  segnare  soltanto  le  Aquis

                   Segestanis  sive  Pincianis,  una  statio  posta  nell’itinerario  fra  la  città  di

                                                                                                       273
                   Parthenico e la città di Drepanis, mentre non compare la città di Segesta


                   Calatafimi, del castello Eufemio e della chiesa del Carmine. Egli ipotizza la presenza di un piccolo fortilizio
                   antico  rafforzato  durante  le  scorrerie  dei  Vandali  (sec.  VI  d.C),  per  opera  dalla  famiglia  Phimes  di  cui

                   sappiamo  che  nel  I  sec.  a.C.  gestiva  un  latifondo  nell’agro  segestano.  FAZELLO,  I,  pp.159;  160;  409;
                   PELLEGRINO  1739,  fogli  nr.  2;  3;  4;  e  fogli  nr.  67;  68;  LONGO  1810, pp.  171;  177;180;  FRACCIA  1859,
                   pp.150-151;  BONAIUTO  1961a;  BONAIUTO  1961b;    BONAIUTO  1963a,    pp.1-9;  Bibliografia  Topografica,
                   2010, XVIII, pp.513-576.
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                              NENCI 1991, pp. 920-929.
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                              TACITO,  Annales,  4,  43,  4:  “et  Segestani  aedem  Veneris  montem  apud  Erycum,  vetustate
                   dilapsam, restaurari postulavere, nota memorantes de origine eius et laeta Tiberio”.
                          271  BRESC - BRESC 1977, p.350.
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                             STRABONE, VI, 2, 5: “¹ d loip¾ kaˆ meg…sth pleur£, ka…per oÙd' aÙt¾ polu£nqrwpoj
                   oâsa, Ómwj ƒkanîj sunoike‹tai. kaˆ g¦r ”Alaisa kaˆ Tundarˆj kaˆ tÕ tîn A„gesta…wn ™mpÒreion
                   kaˆ Kefaloidˆj pol…smat£ ™sti”.
                          273
                             Itinerarium Antonini Augusti, 91, 2 : Aquis Segestanis sive Pincianis. L’itinerario riporta anche
                   la dizione Ad Aquas Perticianenses (97-98, p.14).

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